Ti sei mai chiesto perché le cinque note fischiettate delle notifiche Samsung, o quelle del celebre “I’m lovin’ it” di McDonald’s, o il suono di apertura di un MacBook, siano così iconici e conosciuti? Quanto lavoro pensi ci sia dietro? Credi siano solo una scelta estetica o che abbiano un ruolo preciso?
La riposta è fatta da due parole: audio branding.
A livello di mercato non c’è mai stato un momento così adatto negli ultimi anni per l’audio branding (non perdere l’occasione per seguire il nostro podcast su Spotify e rimanere aggiornato) e finalmente anche le aziende italiane si stanno accorgendo che l’identità audio del loro brand va disegnata per essere più significativa e coerente possibile, proprio come l’identità visiva.
In un momento in cui l’audio streaming è al massimo della diffusione, in cui i comandi e gli assistenti vocali sono alla portata di tutti, in cui la quasi totalità dell’intrattenimento e delle scelte commerciali avviene attraverso gli smartphone e (magari molto presto) degli smart speaker, l’utilizzo dell’audio come strumento di marketing si mostra in tutto il suo potenziale.
Che cos’è l’audio branding
Un’attenta politica di audio branding si rispecchia nella creazione ponderata e sistematica di un alfabeto di suoni che costituisce un vero e proprio linguaggio audio per il brand. Questo ulteriore veicolo di comunicazione completa così l’identità del marchio con altri elementi esperienziali basati sulla sua essenza, visione, valori, promessa e personalità.
Esempi di audio branding: brand awareness e coinvolgimento degli utenti
Si tratta quindi di un modo per sottolineare con estrema cura e precisione la propria identità aziendale.
Non ci sono dubbi, quando senti il Gran Vals di Francisco Tarrega la prima cosa che pensi è “Nokia!”. Esatto, l’azienda finlandese è stata così competente da prendere un brano di chitarra classica del 1902 e farlo portatore dei propri valori, 90 anni dopo, con una melodia che nel nuovo millennio è diventata inconfondibile per il 74% degli europei.
Si tratta anche anche di un modo per firmare un prodotto, o per anticipare al cliente l’esperienza del servizio fornito.
Palpitazione, fremito e coinvolgimento sono automatici nell’attesa di un film, di una serie tv o dell’inizio di un nuovo videogioco con le fanfare della 20th Century Fox, il “ta-dum” di apertura di Netflix o il celebre “EA Sports, It’s in the game” della Electronic Arts. Mentre la sete è la prima conseguenza del logo sonoro di Coca Cola, che ripercorre le cinque fasi di quando ci si gusta la bibita.
Proprio per questo con “audio” non si intende la musica scelta come sottofondo per la comunicazione, ma piuttosto un uso consapevole del suono che contribuisca alla realizzazione di un’identità di marca univoca, in un’ottica di comunicazione multicanale volta alla memorabilità e alla memorizzazione del marchio con un aumento del suo valore nel tempo.
Investire nell’audio branding: vantaggio strategico o minimo sindacale?
In un mondo in cui le aziende puntano al successo duraturo attraverso la cura del rapporto e dell’esperienza dei clienti con il proprio brand, il focus si sposta automaticamente dal prodotto al marchio, e non c’è nulla di più veloce del suono per creare una connessione sensoriale ed emozionale con un brand.
L’uso strategico dell’audio branding svolge perciò un ruolo primario nel differenziare un prodotto o servizio in maniera positiva, valorizzandone il ricordo, costruendo credibilità e fiducia nell’azienda nel tempo e accrescendo le vendite e il marketing Return On Investment.
Le aziende che non curano la propria identità sonora hanno uno svantaggio sistematico rispetto a chi compete anche sull’udito.